Alle
orecchie del consumatore, a volte, giungono dati sconcertanti: per
produrre un calice di vino da 0,125 litri è necessario un volume di
acqua 800 volte superiore. Perché ciò sia comprensibile bisogna
conoscere la metodologia di calcolo che porta ai dati di cui sopra.
Innanzitutto quel volume non deriva dal calcolo di un vero e proprio
“bilancio idrico”, ma fa riferimento alla cosiddetta “impronta
dell’acqua”. Essa definisce, quantificandola, la portata
dell’appropriazione delle risorse naturali da parte dell’uomo. Come la
carbon footprint (impronta carbonica) e la ecological footprint
(impronta ecologica),l’attenzione delle aziende e dei consumatori
rivolta all’impronta idrica favorisce l’avvio di un maggiore processo di
consapevolezza , relativamente alle modalità con cui l’acqua è
utilizzata. E’ poi opportuno distinguere tra impronta idrica e acqua
virtuale, che solo in parte hanno lo stesso significato. Entrambe
esprimono, infatti, il volume di acqua dolce contenuto nel prodotto
soltanto virtualmente, ossia tutta l’acqua che è stata impiegata e
inquinata nel corso del processo produttivo. L’ impronta idrica,
tuttavia, si differenzia dall’ acqua virtuale poiché ne raffina il
concetto: essa esprime e distingue i diversi tipi di acqua impiegata
(acqua verde, blu e grigia);inoltre è spazio-temporalmente esplicita,
perché il valore dell’acqua può cambiare nel tempo e in funzione del
sito di produzione .
Un bicchiere di vino ha mediamente a livello
mondiale un’impronta idrica di 108 litri di acqua ma, al di là del
valore complessivo, è bene conoscere la proporzione dei diversi volumi
di acqua impiegati. Le tre diverse tipologie di acqua implicano,
infatti, specifici costi economici e un differente impatto
socio-ambientale. La maggior parte dell’acqua richiesta - più del 70% - è
verde: si tratta dell’acqua proveniente dalle piogge, immagazzinata dal
suolo ed utilizzata dal sistema “suolo-pianta” durante il ciclo
colturale della vite. Trattandosi di un vigneto, il quantitativo di
acqua verde è inferiore a quello richiesto da un prato o da un bosco. I
consumi di acqua che rientrerebbero in un classico bilancio idrico (i
volumi prelevati dai corpi idrici) sono invece quelli inclusi nell’acqua
blu. Essi rappresentano, a livello mondiale, solo il 15 % dell’impronta
idrica complessiva: lo scarso ricorso all’irrigazione della vite,
dovuto alla sua elevata resistenza agli stress idrici, e l’elevata
efficienza tecnologica delle cantine concorrono a ridurre i quantitativi
di acqua blu impiegata. Il restante 15% è costituito dall’acqua grigia,
ossia dai volumi di acqua che dovrebbero essere aggiunti al corpo
idrico per annullare la contaminazione eventualmente prodotta.
In
Italia il valore di letteratura è di 88 litri di acqua per bicchiere di
vino (0,125L), ma i risultati delle sperimentazioni condotte in
differenti realtà nazionali attraverso il programma V.I.V.A.
restituiscono valori variabili da 56 litri a 183 litri, in relazione
alle specificità gestionali e geografiche delle aziende coinvolte.
Quello che accomuna i risultati ottenuti è il fatto che quasi tutta
l’acqua nascosta in un bicchiere di vino italiano è acqua verde. Per
quanto riguarda l’acqua blu in Italia essa corrisponde ad una
piccolissima parte dell’impronta complessiva, con una percentuale
variabile dallo 0,5 % al 7% del totale. I dati di letteratura mostrano
una certa costanza nei volumi di acqua grigia (circa 15 litri per
bicchiere), mentre i risultati offerti dalla sperimentazione nelle
aziende aderenti al progetto V.I.V.A. restituiscono valori differenti
(variabili da 0 a 63 litri per bicchiere di vino) in funzione delle
strategie gestionali e dello scenario aziendale (comprendendo anche
l’attuazione in azienda di misure di mitigazione) di riferimento.

Lucrezia Lamstra, PhD
Ricercatrice UCSC
lucrezia.lamastra@unicatt.it